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Autore Redazione :: 12 Maggio 2015

Rome Independent Film Festival si dimostra attento a pellicola italiane che nulla hanno da invidiare a film europei o d’oltre oceano. È il caso dell’opera prima di Massimo Coglitore, "The Elevator", in concorso nella sezione National Competition

The Elevator

Il Rome Independent Film Festival si dimostra attento a pellicola italiane che nulla hanno da invidiare a film europei o d’oltre oceano. È il caso dell’opera prima The Elevator in concorso nella sezione National Competition. Per quasi tutti i 90 minuti di durata, The Elevator non abbandona mai il claustrofobico ambiente dell’ascensore. Lo sguardo della macchina da presa non lascia mai i due protagonisti, li segue e ne percepisce respiri e paure.

Ma come può una pellicola reggere tutto questo tempo rimanendo fisicamente ferma nello stesso punto? La risposta arriva direttamente dal regista Massimo Coglitore: "Ci sono storie grandi e storie piccole. La grandezza di una storia non dipende dalla vastità di un paesaggio, dal numero di personaggi. Le dimensioni di una storia non possono essere misurate in centimetri, dipendono da una cosa soltanto: la storia e come la si racconta. L’importante è catturare l'attenzione dello spettatore, emozionarlo e mantenerlo concentrato fino alla fine".

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La regia di Massimo Coglitore, nuovo talento della cinematografia italiana, ormai possiamo dirlo, già apprezzatissimo con i suoi corti, nonostante la limitazione degli spazi scenici ristretti, è ambiziosa e in continua evoluzione. La macchina da presa si muove continuamente adeguandosi al ritmo delle emozioni umane e posizionandosi in luoghi inverosimili e per questo affascinanti. È una corsa contro il tempo in cui nulla viene lasciato al caso e tutto è studiato per cancellare il plausibile rischio di immobilità: trovare continuamente nuovi e diversificati punti di ripresa, l'angosciante luce fredda dell’ascensore aumenta il senso di ansia perpetuo e inconfondibile che marchia a fuoco ogni inquadratura, merito anche del direttore della fotografia Vincenzo Carpineta. Il tutto supportato da un montaggio funzionale e una notevole colonna sonora, presente, ma non invasiva, merito del compositore Stefano Caprioli.

Altro punto fondamentale della buona riuscita del film sono sicuramente Caroline Goodall e James Parks che sono riusciti, senza sbavatura alcuna, ad entrare perfettamente nei personaggi, carpendone l'intero spettro di emozioni: angoscia, panico, disperazione, calma, rabbia e isteria. Un film coraggioso, prodotto da Riccardo Neri con la sua Lupin Film e scritto dal duo Irrera e Graiani. Pochi elementi che, combinati tra loro, creano una pellicola claustrofobica e pulsante, mai noiosa e dal finale intelligente e funzionale. Sicuramente il regista siciliano, con il suo ambizioso e originale stile claustrofobico, ha portato sul grande schermo una pellicola avvolgente ed emozionante, capace di coinvolgere lo spettatore e di fargli provare uno spettro di emozioni variegato e dal forte impatto come solo pochi sono capaci di fare. “L’unico modo di sbarazzarmi delle mie paure è farci un film”, diceva Alfred Hitchcock, a cui Coglitore fa chiaramente riferimento nella regia di The Elevator. Ci siamo scordati di chiedergli se ha la fobia degli ascensori.

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