L’esordio nel lungometraggio del regista ungherese è una boccata d’aria fresca per il concorso del Festival di Cannes. "Saul Fia" è un film potente e visionario, coraggioso e intelligente
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2015, Saul Fia è, ad oggi, il titolo più interessante visto sulla Croisette. Il regista è un esordiente ungherese che sicuramente tra le sue tanti doti possiede quella del coraggio. Infatti ,ce ne vuole in abbondanza per decidere di intraprendere la propria carriera cinematografica con un film ambientato (ancora una volta) in un campo di concentramento e che dunque affronti (ancora una volta) le atrocità umane e belliche.
Coordinato in maniera solida ed efficace dalla regia di Laszlo Nemes, Saul Fia è un film sicuramente riuscito sia dal punto di vista tematico che, soprattutto, stilistico. Il cineasta, infatti, riesce ad imprimere alla sua pellicola un’estetica sensoriale e frastornante, mirata a ricercare l’immedesimazione del pubblico. Incollando la macchina da prese sul volto e sui corpi dei suoi personaggi, Nemes conduce in parallelo una sapiente riflessione sul ruolo del fuori campo e del fuori fuoco al cinema. Ciò che non vediamo, possiamo solo immaginarlo. Ecco allora che i suoni servono per stimolare la fantasia dello spettatore che mai come in questo caso si rivelerà cupa e angosciante.
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La soluzione ai mali della specie umana, sembra suggerirci in filigrana il regista, è proprio tornare ai valori per i quali ci distinguiamo dagli altri viventi che popolano il globo terrestre. È solo attraverso l’umana morale delle nostre azioni che possiamo sperare in un mondo migliore. Molti uomini del passato lo hanno già dimostrato con i loro sacrifici e le loro imprese, tuttavia la situazione è cambiata poco. Giusto, dunque, riesaminare il proprio percorso, per lo meno in memoria e per rispetto di coloro che hanno lasciato questo mondo per insegnarci a stare a galla.
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