Recensione di Sarà il mio tipo? | Una love story eccessivamente parziale
Recensione di Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux, con Émilie Dequenne e Loïc Corbery: una commedia (non) romantica che si crogiola nel "cultura alta vs cultura bassa" in modo fazioso e snob
Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux, con Émilie Dequenne e Loïc Corbery: l’ennesima storia d’amore fra personaggi abbozzati trattata con superficialità e distacco.
La città e la provincia (Arras, nel nord della Francia), il professore e la parrucchiera, la filosofia e i romanzi rosa, Kant e il karaoke. Lucas Belvaux prova a giocare: con le tonalità, con le distanze, i silenzi, gli opposti, le inconciliabilità. Una serie di elementi in contrasto basilari in ogni ricetta romantica, a prescindere da quali siano i suoi propositi e le sue inclinazioni. Ma un impianto infine mai approfondito – e definibile “abitudinario” per certo cinema – incapace di sfruttare a pieno i segni e i simboli che utilizza indica un parteggiare per il protagonista maschile (Loïc Corbery) ed un distacco dalla vicenda che appaiono del tutto decisi a monte.
Il regista abusa della sua posizione osservando l’effimero della passione (ma anche quello del semplice interessamento) dall’alto, rendendo l’intera pellicola un preambolo di una fine-definita senza mai dare spazio autentico alle pulsioni della sua protagonista (Émilie Dequenne).
Sarà il mio tipo? è un film spogliante, più che spoglio. Ad ogni ammiccamento alla gelida e raggelante visione delle cose di lui, corrisponde un giudicante silenzio a quella di lei. Conflitti, attrazioni, repulsioni ed espulsioni vengono messi in scena in modo univoco, appianati dall’invasamento per il quale Jennifer Aniston sarebbe inconciliabile con Kant.
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In Sarà il mio tipo?, dall’inizio alla fine l’autore utilizza una messa in scena irremovibile: non ci concede un’incursione nel dubbio, un’esplorazione o uno smarrimento nell’amore, un contraddittorio alle sue idee. Nonostante gli spunti e il modo palese in cui determinato pop viene invocato dalla sceneggiatura, il film si muove pachidermico dalle parti del cinema snob para-intellettuale senza nemmeno coglierne l'essenza: va tutto bene finché lui parla coi suoi genitori in salotto stappando una bottiglia di vino al sicuro dai sentimenti, ma tutto cade quando ci ritroviamo una sequenza di karaoke sulle note di Live is life degli Opus trattata con meno enfasi di una performance di qualunque talent televisivo.
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Se i personaggi dovrebbero essere liberi di fare quel che vogliono, il regista no, se il risultato è questo: una visione monca e parziale degli avvenimenti, arbitraria e limitata, mascherata di falsa sobrietà, in cui la vicenda viene erosa da un filosofeggiare schematico e conservatore invece che venir usata come trampolino di lancio.
Voto della redazione:
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