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Autore Alessandro Tavola :: 2 Settembre 2015
Locandina di Everest

Recensione di Everest di Baltasar Kormákur con Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal: una pellicola pressapochista capace di prendere la cima del mondo e non farci niente. Film d'apertura Venezia 72 (fuori concorso)

Nonostante il cast quasi all-star e la premessa spettacolare, la fallimentare spedizione sull’Everest del 1996, il film Baltasar Kormákur non riesce a farsi apprezzare sotto nessun aspetto.

Fare seguito a due esempi – al di là delle critiche – imponenti, decisi e autoriali di cinema come Gravity e Birdman, i due più recenti film d’apertura della Mostra, non poteva essere facile, ma è difficile anche credere che Everest fosse il migliore fra i titoli a disposizione degli organizzatori. Sotto le spoglie del prodotto standard si nasconde un film mediocre. Gli elementi alla base c’erano tutti: il cast, il fascino dell’ambientazione, l’attrazione della vicenda e gli automatismi del “tratto da una storia vera”, ma purtroppo solo questi ultimi, a visione terminata (con la solita barbara e ricattatoria galleria di foto dei veri protagonisti), sembrano essere stati il punto di riferimento dei realizzatori, con tutto il resto lanciato nell’audiovisivo con un pressapochismo alla soglia dell’offensivo.

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Il problema principale di un film come Everest è quello di non aver nemmeno la minima intenzione di coinvolgere, senza che nessun elemento venga sviluppato nel ricettacolo di spunti: l’uomo contro la natura (e viceversa) la fratellanza, la distanza (da sé stessi, dalle persone amate) e la sfida fisica vengono come elencanti e spuntati man mano, messi in bocca ai personaggi, indotti dalla vicenda, scollegati e sconnessi tra di loro e lontanissimi dalla forma propria del film anche dal mero punto di vista dell’intrattenimento.

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Baltasar Kormákur pare un regista assente, incaricato di mettere su hard disk una serie di scene nel modo meno interessato ed interessante possibile. Sembra quasi incredibile quanto un’icona come l’Everest venga ridotta a semplice scenario innevato, quanto dei folli scalatori e i loro capisquadra diventino un manipolo di cliché privi di qualsiasi spirito istintivo, quanto lo sport stesso non venga sviscerato per mezzo secondo, come ogni momento del film non abbia un autentico nesso col successivo. Un cenno di sfida, uno di unione, uno di filosofia, uno di senso del dovere e poi punto e a capo, con un altro tratto di scalata, un altro dialogo, un’altra bufera. Veniamo a conoscenza dell’avanzata della spedizione solo perché ci viene verbalmente detto, nella totale assenza di senso d’avventura e, vista l’ambientazione, il tutto assume una aspetto paradossale, con un 3D del tutto tecnico complice nella disintegrazione dell’emozionalità possibile.

Non sappiamo i veri motivi che spingono i personaggi nell’impresa, non abbiamo un momento di gioia o di autentico pericolo, non abbiamo un singolo istante in cui Everest provi a trascinarci. Abbiamo solo un gregge di pecore che avanza ed un cast sprecato. Non uno scontro, una virata visiva o un frangente che faccia sussultare. Everest non è un fallimento perché non c’è un tentativo, Everest è solamente un limitatissimo film di cassetta mai onesto.

Trailer di Everest

Voto della redazione: 

1

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