Recensione di L'attesa di Piero Messina con Juliette Binoche, Lou de Laâge: il film cerca il logorio del tempo e dell'anima, ma la riuscita non è all'altezza delle presunzioni estetiche e delle intenzioni spirituali. In concorso Venezia 72
In Concorso a Venezia 2015, con Juliette Binoche e Lou de Laâge, L’attesa di Piero Messina si rivela presto come un’opera piena di punti di riferimento, ma completamente priva della capacità di fonderli assieme.
Piero Messina insegue un cinema rarefatto, basato su un sentimento espanso fino a ricoprire ogni singolo istante. Vuole ispirare, stringere, trasportare, annodare gli occhi dello spettatore. Vuole essere un affabulatore visivo, vuole fare un cinema narrativo il più arty possibile senza però calcare sull'artificiosità. Ma per decidersi a culminare in una scena in cui Juliette Binoche piange abbracciando un materassino da mare o si è maestri o si fallisce.
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Il regista di Caltagirone abbraccia questa sfida monumentale dall'estetica iconica – che può riuscire o completamente o per niente – senza riuscire a portarla a compimento, incagliato in una via di mezzo ingiustificabile e del tutto inefficace tra la plasticità e il naturalismo. Ed ogni pensiero e ogni commento possono essere solo formali, vista l’essenzialità di una vicenda quasi inopinabile.
La contemplazione de L’attesa, la sua sensazione di confine, il suo countdown risultano sì presentissimi e palesi, ma non riescono a sciogliere o a tagliare, a sostenere o a distruggere gli occhi e la mente. Vediamo intuizioni sbriciolarsi nelle mani di una regia che non riesce ad andare oltre le chiare ispirazioni sorrentiniane, quasi inadeguate rispetto a determinate scelte e Messina sembra in ogni momento pienamente convinto di star riempendo lo schermo con altro (o con qualcosa), quando invece il genio del dramma sembra non appartenergli affatto e l'intuito registico latita.
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La presenza più importante del film dovrebbe essere quella del figlio assente dallo schermo, ma ci si scorda presto di questa evocazione chiave. Così ci rimangono Juliette Binoche (che sotto la guida di Assayas in Sils Maria aveva dato una prova praticamente opposta a questa) e Lou de Laâge, in un’impacciata rappresentazione della fragilità, mentre si consumano secondo i canoni del “cinema da cascina” verso un finale praticamente nullo, data la vacuità di tutto ciò che lo precede e la mancata intenzione/capacità del regista di accontentarsi della semplicità..
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Messina prova a fare cinema di superficie, di specchio dell’anima, ma L’attesa è uno specchio sporco, vano e vanitoso, in cui la presunzione (e di conseguenza il danno) maggiore è data dal sembrar continuamente volerla negare, fino a renderlo un film che si annulla da solo.
Voto della redazione:
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