Recensione di Wild con Reese Witherspoon | Anteprima europea al Torino Film Festival, Wild racconta la vera impresa in solitaria di Ceryl Strayed con un ritmo coinvolgente e una colonna sonora vintage, ma maltratta la sua stessa protagonista
Scelto come film di chiusura del festival torinese, il nuovo lavoro di Jean-Marc Vallée, reduce dal successo di Dallas Buyers Club, segna il ritorno dell’attrice Reese Witherspoon (qui anche produttrice), sulle stesse orme del percorso di “riabilitazione” attoriale di Matthew McCounaghey, ma soprattutto di Nick Hornby (già autore dei romanzi adattati per il grande schermo Alta Fedeltà, About A Boy e sceneggiatore di An Education) che firma lo script basandosi sull’autobiografia di Ceryl Strayed, scrittrice che per ritrovare se stessa dopo la morte della madre ha percorso a piedi più di mille miglia nel percorso del Pacific Crest Trail.
Parallelamente a Tracks (dove Mia Wasikowska interpreta Robyn Davidson che nel 1977 attraversò il deserto australiano), Wild, oltre la volontà di rappresentare il rapporto tra uomo e natura come momento di rinascita e purezza, rappresenta il tentativo del cinema contemporaneo di riportare una forte figura femminile al centro del film, senza, o quasi, contrappunto maschile a cui far riferimento.
"Tu vuoi solo fare l'eroe"
Impresa apparentemente impossibile, il tipo di uomo che comunque fa capolino nel viaggio e nei ricordi di Ceryl (l'ex-marito o gli incontri durante il tragitto) è debole, piagnone, arrendevole, maschilista, tossico o sessualmente affamato. E la stessa protagonista, nel momento di crisi personale, tra droghe e tradimenti seriali, che precede e causa la partenza, è tratteggiata con le stesse identiche caratteristiche da cui liberarsi e purificarsi con l'esclusione momentanea dalla società (maschilista?). Come se una classica scissione tra i generi dei personaggi fosse indispensabile, Wild rimette ognuno al suo posto: Ceryl ritorna ad essere "la donna che era per sua madre", studiosa, rigida e controllata, mentre l'ultimo uomo incontrato è di nuovo il principe azzurro che si aspetta che sia. Nonostante la forza della protagonista interpretata da una dedicatissima Witherspoon, che sbraita e bestemmia, si perde purtroppo l'occasione per una ridefinizione reale dei ruoli narrattivi e per un vero Into the wild al femminile, soprattutto laddove Ceryl è un'escursionista "errante", con zaino, equipaggiamento e scarpe sbagliate,corretta solo dal parere esperto dell'uomo. Anche l'altra donna centrale nel racconto, la madre scomparsa, un'incantevole Laura Dern, non sfugge purtroppo ai clichè della moglie maltrattata dal marito violento e alla "santificazione" dopo la morte.
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Wild funziona invece nel montaggio serrato derivante dalla memoria involontaria della protagonista e che svela man mano il passato doloroso ma, in ultimo, necessario per affrontare e non mollare l'impresa e per la ricostruzione del sè; respira nell'emergere naturale e sporadico dei ricordi, fatti soprattutto di sensazioni, immagini, canzoni, anche se alla fine si affretta a ricomporli quasi a non voler mettere troppo alla prova lo spettatore. Citazioni abusate e l'ennesima visione dell'ennesima volpe immaginaria rompono ulteriormente le premesse del viaggio di una, ancora, attesa eroina.
Voto della redazione:
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