Recensione di Weekend | L'amore gay in un fine-settimana: non è queer, è cinema. Del migliore.
Recensione di Weekend di Andrew Haigh | Pur con cinque anni di ritardo, arriva nelle (poche) sale il primo splendido film del regista inglese di "45 anni", bollato dalla CEI del Vaticano, sul rapporto intenso ma a breve termine di una coppia gay
The problem is that no one's gonna come and see it, because it's about gay sex. So the gays'll only come because they want a glimpse of a cock, and they'll be disappointed. The straights won't come because, well, it's got nothing to do with their world. They'll go and see pictures of refugees or murder or rape. But gay sex? Fuck off.
Come immaginabile, Weekend non è un film di “scabroso” sesso omosessuale.
Come immaginabile, la nostra CEI così l'ha etichettato, demonizzandone la distribuzione italiana e limitandola a sole 10 sale in tutto il paese. Già in grave ritardo rispetto alla prima uscita mondiale nel 2011, il ritorno di Weekend, prima opera di Andrew Haigh, segue il successo di 45 anni, secondo lungometraggio del regista britannico, reduce dal plauso del festival di Berlino 2015 con i premi a entrambi i protagonisti Charlotte Rampling e Tom Courtenay.
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Weekend non è che un'altra elegante vivisezione approfondita ma educata di una coppia di cui alla resa dei conti poco importa l'età o la sessualità: lo sguardo di Haigh si sofferma con invasiva delicatezza sulla costruzione – o sulla decostruzione, nel caso di 45 anni – di una conoscenza, di un rapporto, di un'intimità. Un nuovo free cinema contemporaneo che dai primi Tony Richardson e Karel Reisz – e soprattutto da Saturday Night and Sunday Morning, che viene anche citato - riprende la freschezza di un racconto quasi estemporaneo e la precarietà di un sentire incerto, ostacolato dal tempo storico e dalle insicurezze personali nel rapporto a un altro, sia in quanto essere sociale che individuale.
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Weekend si scardina così dal semplice cinema queer, divenendo universale (o cinema e basta), interrogandosi in partenza – con le parole e il personaggio di Glen in particolare – sulla sua posizione all'interno della cultura predominante e sulla necessità di stabilire una volta per tutte una nuova narrativa, e quindi visione, della coppia, che non tenga conto di orientamenti sessuali o generi cinematografici specifici. L'incedere sul racconto delle notti precedenti dei due protagonisti non è che un bisogno di metabolizzazione per una narrativizzazione accelerata del sesso gay, finora prevalentemente escluso ed ostracizzato dall'immaginario classico e primario. Ma fortunatamente in ultimo ci si dimentica di questa necessità, cioè del raggiungimento di un obiettivo programmatico e freddo, e solo così facendo riesce a diventare veramente il primo film su una coppia omosessuale non queer.
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I confronti tra i due e i loro perfetti interpreti, nei fitti dialoghi prima prudenti e a mano a mano sempre più a cuore aperto, sfidano e infine abbracciano lo spettatore con un'umanità onestamente fragile e commovente, inquadrata nella luce digitale e fredda di Nottingham ma nella naturalezza immediata dei primi piani. Complici e consci sul nascere di una relazione generalmente considerata di second'ordine – quella da one night stand ma anche e ancora purtroppo quella omosessuale – si lasceranno in stazione, incuranti dei commenti degli altri, come le più grandi coppie del cinema.
Voto della redazione:
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