Recensione di Calvario di John Michael McDonagh: Piccolo gioiello che danza in punta di piedi tra black humour e malinconia esistenziale, con un grandioso Brendan Gleeson
Padre James sta ascoltando, paziente e pacato, uno dei tanti confessionali mattutini, quando l’uomo che è venuto a confidarsi con lui gli annuncia che lo ucciderà la settimana successiva. Il motivo? Quand’era bambino, è stato abusato per anni da un prete rimasto impunito, e ormai deceduto. Ora, la vittima vuole vendetta: e quale vendetta è, all’apparenza, più scioccante e sovversiva dell’omicidio di un prete buono?
Questa la premessa di Calvario: un inizio folgorante, immobile, tutto inciso nella vibrante voce off che s’imprime sul volto, bonario e poi sgomento, del grandioso Brendan Gleeson. Da lì in avanti, scandita inesorabilmente dal conto alla rovescia, la narrazione acquista un respiro corale su un palcoscenico ristretto e ansimante, cittadina soffocante e sofferta attraversata da uomini e donne prostrati dalla vita e da se stessi, ma mai chini a subirne le falciate; da un medico disilluso e sincero a un riccone sfacciato e disperato, da una donna distrutta e lucida a una figlia fragile ma non davvero perduta.
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Laico più (e prima) che anticlericale, con rispetto rigoroso John Michael McDonagh, proprio come nel precedente, stupendo Un poliziotto da happy hour (galera per i titolisti italiani!) rintraccia le ombre di pietas e di sarcasmo malinconico in una valle di lacrime composta e delineata nelle sue asperità vulnerabili da una sceneggiatura incredibilmente bilanciata e profonda, colta e filosofica, sempre mirata nella direzione del suo senso.
Raggiunge l’eccellenza del cerchio che si chiude in un (magnifico) finale di accettazione incredula e poi silenziosa, che osserva i lasciti ancora ignari di una scomparsa; e nell'ultima scena incrocia sguardi feriti e non giudicanti, sancendo l’impossibilità di una redenzione dal dolore, dalla macchia sanguinante del passato, dal suo marchio a fuoco, la sensazione di un peccato originario umano troppo umano di cui non abbiamo colpa, ma che sporca e segna per sempre, che condanna alla prigionia ineluttabile della coscienza.
Voto della redazione:
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