Recensione di Still Alice | Un sobrio dramma sull'Alzheimer con una strepitosa Julianne Moore
Recensione di Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland con Julianne Moore e Alec Baldwin: I due registi scelgono una messa in scena sobria per raccontare la tragedia di una donna colta la cui vita viene devastata dal terribile morbo
Non è facile, si sa, raccontare la malattia sul grande schermo senza scadere nei cliché triti e abusati del cinema strappalacrime, il cinema del proverbiale “molto bello, ho pianto tanto”. Still Alice, il film di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, seppur con qualche lieve cedimento lungo il percorso, riesce a non tirarsi addosso del tutto le accuse di parabola ricattatoria sull’Alzheimer. Perché in fondo la prima a ricattare, in quei casi, è la vita stessa. È il merito, oltre che di una sceneggiatura saggiamente congegnata e scritta con tatto e morigeratezza, anche di una regia pudica e accorta che preferisce l’impersonalità e l’accademismo all’invadenza, la normalità alla spettacolarizzazione.
E poi, naturalmente, c’è Julianne Moore, che interpreta Alice Howland, linguista di fama internazionale che nel momento in cui contrae il temuto morbo vede crollare istantaneamente tutto ciò per cui ha sudato una vita intera. Lei, da sempre avvezza a scorgere nelle parole e nei loro meccanismi le chiavi di volta per capire il mondo, si ritrova improvvisamente a vedere quelle stesse parole scolorirsi nella sua mente per poi sprofondare nell’oblio.
Quello della rossa di Hollywood è un one woman show struggente e delicato che piacerà chiaramente ai prossimi Oscar, ma anche qualcosa in più, di meno immediato e telefonato. L’interpretazione della Moore è infatti dolorosamente in bilico tra consapevolezza e speranza, tra acquisizione del lutto e l’inevitabile tensione che la porta a lottare contro la sua condizione come un animale in gabbia.
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La materia era scivolosa, ma il film non inciampa grazie a un’ottima gestione dei suoi pochi ma ben assestati assi nella manica, tra i quali rientrano a pieno titolo anche i caratteristi di contorno: una Kristen Stewart che dopo Sils Maria di Assayas appare sempre più disposta a lavorare sui propri limiti trasformandoli in pregi e Alec Baldwin marito dedito e partecipe.
Potrebbe risultare un’operazione ingessata, Still Alice, ma a sorpresa riesce anche a regalare un paio di momenti di bel cinema, notevoli anche dal punto di vista espressivo: su tutte, la soggettiva in cui Alice ha la testa reclinata di lato e la sua famiglia, completamente fuori fuoco, parla di lei al tavolo (quale miglior rappresentazione plastica di ciò che un malato di Alzheimer deve sopportare?); ma anche la scena del discorso tenuto dalla stessa Alice, mai patetico e girato in punta di piedi; per non parlare dei credits finali in cui il titolo del film si materializza con una dissolvenza in entrata su sfondo bianco lattiginoso, come se emergesse direttamente dalle nebbia della memoria. Della serie: anche una transizione, al cinema, può inchiodare al muro e valere più di mille parole.
Voto della redazione:
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