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Autore Giulia Marras :: 8 Aprile 2015
Locandina di White God - Sinfonia per Hagen

Recensione di White God - Sinfonia per Hagen | Kornél Mundruczó firma il primo Premio della sezione Un Certain Regard a Cannes 2014: nonostante una metafora già anticipata e sprecata, l'opera ungherese ribalta il genere ed emoziona su diversi fronti

Non c'è sempre da fidarsi quando il sotto-testo di un film viene esplicitato prima della visione, a mani avanti, già tra le righe di presentazione: in questo senso White God pecca di superbia, anticipando e, anzi, installando direttamente nella mente dello spettatore un'unica lettura possibile, quella della rivolta dei reietti della società contro i “padroni”, all'interno di un sistema, che funge da critica all'Ungheria attuale, pericolosamente vicina al neonazismo e a una nuova ondata di xenofobia e razzismo, probabilmente comune anche al resto d'Europa. Ma l'esercizio di significazione delle immagini è un compito che l'autore cinematografico generalmente sceglie di lasciare allo spettatore, per non escluderlo dalla costruzione stessa del significato e delle sue molteplici interpretazioni. 

Al di là della presunzione di traduzione non richiesta, il rischio di White God è in realtà solo quello di emozionare e riuscire a coinvolgere i più, nella commistione azzardata ma efficace di generi e sentimenti, ritmi e personaggi. Mentre nelle prime due sequenze vengono introdotti brutalmente i temi e gli ambienti della storia, tra l'inseguimento della protagonista Lili da un branco impazzito di cani e la fredda macellazione di una mucca, il resto si configura come un'evoluzione narrativa atipica dalla fiaba (Il pifferaio magico è la suggestione più immediata) e più precisamente dall'avventura per ragazzi verso il più adulto zombie movie. Se lo sguardo iniziale, glaciale e paradigmatico, può ricordare il belga Bullhead di Michaël R. Roskam, la delicatezza che successivamente si interpone tra l'amicizia tra Hagen e Lili e la dura realtà ungherese, nella pretesa di una tassa sull'adozione dei meticci in favore del mantenimento delle razze pure (!), ci riporta allo struggente Wendy and Lucy di Kelly Reichardt, nella sofferenza di un'amicizia perduta che coincide con lo smarrimento del sé. 

La comprovata amicizia tra uomo e cane prende, finalmente, una piega inaspettata laddove la ribellione quasi apocalittica diventa la chiave per rappresentare lo sfogo animale dalla malignità umana finora tenuta nascosta ed edulcorata dai vari Lassie, Marley e company. White God assume primariamente il punto di vista di Hagen, vero protagonista, pur nel cambio irrazionale e rabbioso di personalità, probabilmente utile alla spettacolarizzazione della seconda metà della pellicola, già entrata nel Guinness mondiale per l'utilizzo del numero più alto di cani reali nelle riprese (nulla è stato ritoccato in digitale). 

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La metafora degli ultimi contro i più forti ha forse qualche difficoltà a esprimersi con forza e precisione. Mundruczó non colpisce pienamente il bersaglio, ma ne centra un altro: raccontare una storia di incomprensioni, tra padre e figlia innanzi tutto, ma in ultima e maggiore istanza tra uomini; una storia di rabbia come sentimento sempre in agguato dietro l'angolo, in casa; una rabbia ancestrale, la cui esplosione è ormai giustificabile dalle azioni imperdonabili dell'uomo che si sono accumulate nella Storia; una rabbia in procinto per sfociare, come una rivoluzione, per ribaltare finalmente classi e poteri.

Sarà l'intelligenza sensibile (quale la musica) degli innocenti a placare gli animi. 

Trailer di White God - Sinfonia per Hagen

Voto della redazione: 

3

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