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Autore Fiaba Di Martino :: 21 Maggio 2015
Locandina di Youth - La giovinezza

Recensione di Youth - La giovinezza di Paolo Sorrentino: L'autore premio Oscar tiene alta l'asticella, gira un po' a vuoto e rimane adagiato sui propri allori, ma agguanta infine l'emozione. Grandi Michael Caine e Harvey Keitel

Vecchi amici, ormai, almeno apparentemente, per pigrizia più che per interesse (“ci diciamo solo le belle cose”, ma quali sono?), Fred/Caine e Nick/Keitel sono a riposo in un centro benessere svizzero privilegiato da superstar (!) tra attori frustrati, supermodelle, Maradona (!!) e alpinisti coscienziosamente outsider. Non sono star, loro due, ma artisti: l’uno regista, l’altro compositore e direttore d’orchestra. Ma per Fred l'arte è un ricordo ormai sopito, da custodire come un cimelio museale e sentimentale, per Mick è invece uno scettro da spremere con passione e da trasformare in prova di un’esistenza da protagonista. 

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I due si guardano intorno scansando le declinazioni degeneri dell’audiovisivo, dal videoclip alla televisione (che però, come nota l’attrice Brenda e, si suppone, lo stesso Sorrentino – che girerà una serie tv da qui a fra poco – in verità è il futuro e anche il presente), immersi in un placido tedio esistenziale che stanzia e s’addensa sullo sfondo.
In Youth - La giovinezza un velo di alterigia registica marca una notevole distanza tra i personaggi e le persone, investendo il coro polifonico di un uniforme funzionalismo, non riuscendo a creare un universo condiviso e comunicante, e parendo a tratti derivante dalla scia della cometa This Must Be The Place, coi suoi incontri corali e stranianti, con quel viaggio vagamente catartico che qui è altrettanto mobile, benché circoscritto, e con quello sguardo a cui tornare (stavolta per dire addio). Alcune cadute di sceneggiatura scavano ulteriormente il solco (l’ennesima denigrazione femminile, stavolta in forma di attrice ingrata: Jane Fonda!), la formula scricchiola e sui trampoli sperticati sui cui è salito Sorrentino incespica. E però non stramazza al suolo. 

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Perché tra malinconie statuarie e umane miserie ricalcate d’oro, Youth - La giovinezza eleva alla decima gli stilemi portanti del suo autore – quella macchina da presa come un volano – e incorona il sentimento come unico senso finale di una vita che può sempre tornare a rifiorire.
È una pellicola annacquata dal desiderio e non da un’hubris tracotante; fatta vacillare quanto resa attiva da quel desiderio "eccessivo e spudorato" di cui parla Paul Dano, si fa forte dell’ostinata corrente della mise-en-scène e della rincorsa incessante al momento clou, al significato ultimo, alla sentenza definitiva (che purtroppo al contempo spesso trasforma i personaggi in oggetti portatori di un messaggio, testimonianze di morale, la cui missione declamatoria stavolta soffoca l’impulso vitale, li muta in frammenti senza compattezza).
Un cinema a rischio autismo che però, nelle sue vibrazioni di sfacciata, lirica inadeguatezza, travalica il magma irrisolto e agguanta l’emozione.

Trailer di Youth - La giovinezza

Voto della redazione: 

3

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