Recensione di Colonia | Concentrata nella reclusione della vera Colonia Dignidad ma anche in una piatta storia d'amore epurata da ogni riflessione politica, la rievocazione dell'11 Settembre cileno del 1973 meriterebbe altre rappresentazioni
Per la macchina cinematografica tenuta in moto dalle produzioni internazionali di più ampia disponibilità economica e ricerca di immediata risposta al botteghino, è periodo di ricostruzioni di storia relativamente recente. Se da una parte lo sforzo è lodevole e politicamente corretto, i risultati sono spesso approssimativi e scadenti, se non irriguardosi rispetto alle storie che raccontano. È capitato ultimamente con Stonewall e Suffragette, è successo di nuovo con Colonia. Co-produzione tedesca, francese e lussemburghese, con lo zampino hollywoodiano (James Spring da Dorian Gray, Una notte da matricole), Colonia vede alla prova la regia scaltra e rigorosa di Florian Gallenberger, già Oscar per il cortometraggio Quiero ser (I want to be …).
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Purtroppo non forte di una sceneggiatura né storica o politica, né quantomeno incisiva o appassionante, lo sguardo del monacense non si azzarda a immergersi in profondità, se non letteralmente, negli angoli bui della storia cilena e di uno dei momenti più tragici e controversi dell'Occidente della Guerra Fredda. La realtà è relegata alle canoniche immagini di repertorio in apertura mentre la fiction romantica e di plastica prevale negli spazi chiusi, e tremendamente veri, di Colonia Dignidad, probabilmente più famosa come Villa Baviera, setta fondata da Paul Schäfer nel 1961, teatro di abusi e torture durante il periodo di dittatura di Pinochet e oltre. Gli echi del golpe bussano attutiti dai muri di gomma, che non riflettono all'interno la disperazione esterna, se non nella resistenza ovattata di desaparecidos stranieri e fin troppo fortunati alla violenza malata e sessista della comunità guidata da un predicatore, abbozzato senza un vero e proprio studio del personaggio che fu arrestato soltanto quarant'anni dopo.
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Girato in un inglese decontestualizzato e dal finto accento spagnolo, Colonia ripiega sulla sfera romantica le carenze (o le trascuratezze) storiche sul primo 11 settembre che ha cambiato le sorti dell'America e del mondo. Neanche la fotografia quale strumento di testimonianza radicale - che ha avuto poi un riscontro unico ed effettivo nel racconto della vita all'interno di Colonia Dignidad - riesce a imporsi sulla storia d'amore di una coppia di ingenui giovani attivisti, i quali, in maniera inevitabile e lapalissiana, nella stessa modalità affrontata dall'impianto filmico, preferiranno scappare via e accantonare l'esperienza cilena piuttosto che rivendicarla e combatterla. Il Cile di Pablo Larrain è ben lontano, mai così splendente e necessario.
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