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Autore Giulia Marras :: 3 Dicembre 2015
Locandina di 11 donne a Parigi

Recensione di 11 donne a Parigi | L'esordio alla regia dell'attrice Audrey Dana pretende di dipingere modelli di donne reali e accessibili ma finisce nel trasformare la femminilità in una caricatura amara e nemmeno divertente

Ormai è noto: l'assodata garanzia di qualità delle commedie francesi è morta da tempo e, soprattutto nel cinema da multiplex, non è più assicurato il buon livello, o almeno medio, di pellicole come Quasi amici o Tutto sua madre, senza dover arrivare a scomodare i grandi del passato (Jacques Tati). Dopo gli ultimi fallimenti di La famiglia Belier o Non sposate le mie figlie! che tentavano di ripiegare temi sociali a facili meccanismi comici, 11 donne a Parigi vorrebbe ripensare la femminilità nelle sue più ridicole disfunzioni ormonali e sessuali per ridere – a denti strettissimi – delle nevrosi e degli eroismi quotidiani che solitamente ricoprono di cliché il gentil sesso.

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Nonostante lo sguardo di partenza appartenga a delle donne (l'attrice Audrey Dana al suo esordio dietro la macchina da presa, che ritaglia per sé il ruolo più imbarazzante, e le sceneggiatrici Raphaëlle Desplechin e Murielle Magellan), la missione di ridefinizione del genere femminile secondo i canoni della commedia corale senza vergogna di apparire sfrontata, volgare e il più rappresentativa possibile, crolla sotto il peso macchiettistico delle sue protagoniste. Troppe, insipide, e quasi indistinguibili tra loro, nonostante la volontà di caratterizzarle per diversi “isterismi”, sono più impegnate a mascherarsi nel loro essere comicamente impacciate e imperfette piuttosto che sviscerare l'essere irrisolte; allo stesso modo, le interpretazioni tardano ad essere credibili e divertenti, tra una Casta in vistoso disagio, una Paradis irrigidita, e una Adjani non pervenuta sotto la maschera di botox; a salvarsi è la sola Julie Ferrier, nei panni dell'unico personaggio vagamente ispirato e irriverente nella sua particolarità di un'autista di autobus piena di tic.

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Il linguaggio diretto ma realistico seppure forzato e appiccicato ai personaggi non aiuta ad affezionarsi né a comprendere le vicende montate, a casaccio, di donne che rimangono distanti per tutta la durata del film. Neanche l'introduzione della malattia giova alla pretesa mancata di avvicinamento alla verosimiglianza delle storie e dei modelli presentati. 
L'unico sforzo in extremis da ricordare è la battuta di un uomo, ma apertamente femminista: “un giorno accadrà che guadagnerai più di me”. 

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Trailer di 11 donne a Parigi

Voto della redazione: 

1

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